Non si tratta di iscrizioni rare, né limitate a particolari periodi. Coprono un arco temporale piuttosto vasto, in genere dal periodo repubblicano al tardo impero (ovviamente). Nella sola Roma sono circa 40.000. Molti epitaffi sono uguali, altri simili. Per chi era sprovvisto di fantasia o semplicemente di parole per il lutto, venivano in soccorso quelle già esistenti e viste. Molte però sono caratterizzate come da una individuale essenza. In verità lo sono tutte. Tutte si riferiscono a qualcuno di specifico, il che le rende uniche al di là delle parole usate.
Molte di queste lapidi lasciano trasparire ciò che il defunto vuole che si sappia. Parole che seppur difficilmente credibili, non rendono quelle aspirazioni meno vere. Parlate con loro:
Sono Dafne, sposa di Ermete, libera ormai: eppure il padrone avrebbe voluto che per primo fosse libero Ermete. Il destino che mi fece nascere per prima, mi portò via per prima. Le pene sofferte, le lacrime tanto spesso versate le ho lasciate al marito, poiché, contro il volere del padrone, da pochi giorni ho messo al mondo un bambino. Chi lo nutrirà ora, chi provvederà a lui per tutta la vita poiché lo Stige m’ha rapita tanto presto agli dèi?
Visse pia 25 anni. Qui è sepolta.
Da vivo [fece questa tomba] Caio Gargilio Emone, figlio di Proculo Filagro, liberto del divo Augusto Agrippiano, pedagogo, liberto lui pure.
Devoto e integerrimo ho vissuto quanto ho potuto senza mai un litigio, né un bisticcio né una discordia e anche senza debiti. Agli amici offrii schietta lealtà. Fui povero di denaro ma ricchissimo di cuore. Chi leggerà questa epigrafe fino in fondo stia sano.
Restituto Piscinese e Prima Restituta alla carissima figlia Florenza che a tradimento fu gettata nel Tevere dallo sposo Orfeo. Il cognato Decembre pose. Visse 16 anni
Trascorsa una onorata vecchiaia, carico d’anni, sono chiamato presso gli Dei: figli, che avete da piangere?
a Cupizia Fiorentina sposa pia e casta, Gennaro Primitivo il marito dedica questo sepolcro come ha potuto, da povero
agli Dei Mani di Scribonia Hedone, con la quale vissi 18 anni senza mai un litigio, per desiderio della quale giurai che dopo di lei non avrei preso altra moglie
Latro, uno schiavo di 12 anni, morso da una vipera spirò dopo sette giorni
Nebulo a Marta sua compagna di schiavitù. Piansi, Marta, i dolorosi casi dei tuoi giorni estremi, e composi le tue ossa, accetta questa prova del mio amore
A Filomeno ed Eutachia, che andarono insieme sani a dormire e furono trovati esanimi l’uno nelle braccia dell’altro
Visse sui campi e fu felice
A Caio Tadio Severo di anni 35, rapito dai banditi
Agli Dei Mani. Qui sono celebrati i Mani di Anulina, una piccina che visse un anno e mezzo.
Ma l’anima mia è celeste, non finirà nelle tenebre, mi hanno assunto il cielo e le stelle, la terra tiene il corpo, una pietra il vacuo nome.
Straniero ho poco da dire: fermati e leggi. Questo è il sepolcro non bello di una donna che fu bella, i genitori la chiamarono Claudia. Amò il marito con tutto il suo cuore, mise al mondo due figli, uno lo lascia sulla terra, l’altro l’ha deposto sotto terra. Amabile nel parlare, onesta nel portamento, custodì la casa, filò la lana. Ho finito, va’ pure
Qui sono le ossa di Prima Pompea. La fortuna promette molto a molti, non mantiene a nessuno, vivi giorno per giorno, ora per ora, poiché nulla ci appartiene
Salvio ed Eros posero
a guardia dei carri, mai latrò a vuoto, ora tace, e l’ombra vigila sulle sue ceneri
Lucio Cecilio Liberto e Caio Lucio Floro visse 16 anni e 7 mesi
… chi qui [su questa tomba] piscerà o cacherà abbia gli Dei superiori e inferi adirati
Al gladiatore:
A Urbico, secutordi prima categopria […] che combattè 13 volte. Visse 22 anni. […] Ti avverto, tu che uccidi chi vinse, i suoi tifosi tengono viva la sua memoria.
Iscrizioni a esplicitare le rappresentazioni di ricchi sarcofagi, come quella di Gaio Valerio, avvocato a Milano sotto Costantino dal 315 al 320 d.c.
Decurione, pontefice, sacerdote dei giovani milanesi, avvocato. Per 5 volte fu in missione a Roma […] Visse 23 anni, 9 mesi, 14 giorni
Un augurio che accomuna i vivi e i morti:
Gli avvocati e il Malocchio si tengano lontano dalla mia tomba.
Le lapidi funerarie erano spesso poste lungo le strade con l’intento di attirare l’attenzione dei passanti. Come avete visto, molte di loro parlano/interagiscono con i passanti. Sconosciuti chiamati a pensare a coloro che ormai sono e che chiedono un gesto di pietà. Piccolo per i vivi, forse sterminato per i morti. Chiedono ai vivi di dedicare pochi attimi della loro vita a pensare a loro che vivi invece lo erano ma che ormai non lo sono più. Chiedono di essere ricordati in qualche modo dai vivi. Di leggerne il nome proprio assieme a poche e scarne notizie della vita o della relativa morte. A volte compaiono informazioni su chi ha commissionato la tomba. E ai vivi, da quelle stesse lapidi, indirizzano consigli.
Lapidi che potevano appartenere ad una tomba semplice o monumentale. A volte la tomba era stata costruita dallo stesso defunto quando era ancora in vita, in questo caso compare l’abbreviazione VF (Vivus Fecit). Ma sono le lapidi di tombe costruite dai loro cari che richiamano maggiormente l’attenzione. Come abbiamo visto, nell’interagire con i passanti le epigrafi non si risparmiano in maledizioni contro chi le violasse o deturpasse; non si risparmiano in considerazioni sulla morte, in consigli, ringraziamenti ed esortazioni a far buon uso della vita.
Alcune lapidi sono oviamente di uomini che furono ricchi e potenti che fanno parte di sarcofagi e monumenti. Le lapidi di tombe semplici conservano però un’umiltà che la morte rende monumentale sopra ogni cosa.
Attraverso l’analisi delle iscrizioni funerarie, ricevono luce soprattutto le culture che in qualche modo appaiono subalterne
Antonio Gramsci
Non che per il fatto di provenire da strati più umili queste valgano dopo la morte più delle epigrafi dei ricchi. Tutte valgono alla stessa maniera. Ma per chi da vivo valeva assai meno nella considerazione degli altri, valere da morto alla stessa maniera di chi in vita sedeva più in basso, potrebbe esserne un piacere anche in mancanza di soggetto senziente.
Come ho già detto, le enunciazioni di queste lapidi sono tutte “vere”. Nel senso più ampio possibile del termine “vero”. Ve ne riporto ancora qualcuna. Sono parole che qua non vedete su lapidi, ma l’intento dell’epigrafe travalica la materialità della lapide stessa. Materialità a cui a volte sembrano bramare proprio per la richiesta di attenzione di chi è composto da materia.
Non siamo niente e fummo mortali. Osserva, tu che leggi, quanto rapidamente precipitiamo dal nulla nel niente.
Per l’adorabile, benedetta anima di L. Sempronio Firmo Sapevamo. Ci amavamo dall’infanzia: sposato. Una mano empia ci separava in una sola volta. O Dei infernali, siate gentili e misericordiosi verso di lui, e lasciate che lui mi appaia nelle ore silenziose della notte. Permettetemi di condividere il suo destino, che possiamo essere riuniti nel modo più dolce e veloce possibile
Infelice, carica d’anni, sopravvissi al marito e alla figlia.
Mi chiamo Franco, soldato nell’esercito di Roma, mi comportai sempre da valoroso in guerra.
Qui io, Lemisio, giaccio. Sola la morte mi dispensò dal lavoro.
Eretto a memoria di Memmio Claro dal suo coliberto Memmio Urbano. Io so che mai ci fu l’ombra di un dissapore tra me e te. Mai una nuvola passò sopra la nostra comune felicità. Io giuro agli Dei del cielo e degli inferi che noi lavorammo
lealmente e amorevolmente insieme, che noi fummo resi liberi dalla schiavitù nello stesso giorno e nella stessa casa: niente avrebbe mai potuto separarci eccetto questa fatale ora.
In questo luogo è Tiberio Natronio Venusto. visse 4 anni 4 mesi e 10 giorni.
Sacro agli dei Mani, Publio Vibio Mariano figlio di Publio eminentissimo uomo, Procuratore e Presidente della provincia di Sardegna, due volte Pro Pretore, Tribuno della Coorte X Pretoriana, XI Urbana, IV dei Vigili, Prefetto della Legione II Italica, Pro Pretore della Legione III Gallica, Centurione dei Frumentarii, oriundo dalla colonia italica Iulia Dertona padre dolcissimo e a Reginia Massima madre carissima, la figlia ed erede Vibia Maria Massima ebbe cura di costruire.
Qui Zotico null’altro lascia che un labile nome; il corpo è cenere, la vita s’è dissolta nell’ètere.
Sono convinto che non c’è domani”.
Una donna si rivolge a voi dall’urna di suo figlio Marius Exoriens:
Le insensate leggi della morte lo hanno strappato dalle mie braccia. Giacché sono favorita dagli anni, la morte avrebbe dovuto portar via me prima.
Alla stessa maniera un padre invoca la vostra attenzione per fugacemente ricordare il figlio:
Voi donne che passate, onorate la memoria di mio figlio morto giovane, eternamente giovane.
Ed altri richiami ancora.
Ehi, tu che passi, vieni qui. Riposa un momento. Scuoti il capo? Eppure anche tu dovrai venire qui.
Alessandro Gerente ha seppellito la moglie Primitiva, nulla gli è di conforto:
Non fui, non sono, non so nulla. Non mi riguarda.
Continuano a parlare.
Tu che leggerai, cerca di vivere e di star bene, di amare e essere riamato fino a che verrà il tuo ultimo giorno.
Chiunque tu sia che passi e leggi, fermati, viandante e considera come fu iniqua la mia sorte e com’è vano il mio lamento, non potei superare i trent’anni poiché uno schiavo mi tolse la vita e poi mi gettò nel fiume
Lucio alla moglie Rubria:
Io il tuo sposo Lucio dedicai questo monumento a te che l’hai meritato. Finalmente noi pure avremo una casa insieme
Parlano a te, ma si rivolgono a loro stessi.
Bagni, vino e Venere devastano i nostri corpi. Ma bagni vino e Venere fanno la vita.
Oh, crudele, empia madre che io sono. Alla memoria dei miei più dolci ragazzi, Publio che visse 13 anni 55 giorni, ed Eria Teodora che visse 27 anni 12 giorni. Oh, madre sventurata, che hai visto la più crudele fine dei tuoi figli! Se Dio fosse stato pietoso, tu saresti stata sepolta da loro
A volte vogliono parlare a te più che con te
Non siamo nulla, e fummo mortali. Tu che leggi, rifletti: dal nulla torniamo subito al nulla.
Chiunque tu sia che passi e leggi, fermati, viandante e considera come fu iniqua la mia sorte e com’è vano il mio lamento. Non potei superare i trent’anni poiché uno schiavo mi tolse la vita e poi mi gettò nel fiume.
Fino a diciotto anni, vissi come meglio potei, caro al padre, a tutti gli amici . Ti esorto a divertirti, a scherzare: qui regna solo estremo rigore.
Ci sono epigrafi che vedono la morte come una liberazione dagli affanni e dai dolori.
Sono evaso, Sono fuggito, Saluto la Speranza e la Fortuna. Ora prendetevi gioco di qualcun altro.
Finché sono vissuta, accumulai denaro, ma ne persi altrettanto. Venne la morte e mi liberò da guadagni e da perdite.
Al tenerissimo padre: dopo tante fatiche e tanti affanni, ora taci e riposi in pace nella tua silenziosa dimora”.
Lontani dalle vicissitudini è più facile scoprire la leggerezza di uno scherzo.
Qui riposano in pace le mie ossa: è ciò che resta di un uomo. Non mi preoccupa il pensiero di sentirmi affamato, sono libero dalle malattie, né mi capiterà più di dover garantire un prestito. Usufruisco per sempre di un alloggio gratuito.
Qui è sepolto Leburna, maestro di recitazione, che visse più o meno cent’anni. Sono morto tante volte! ma così, mai. A voi lassù auguro buona salute.
Ho vissuto come volli. Perché sia morto, non lo so .
Non siamo nulla, e fummo mortali. Tu che leggi, rifletti: dal nulla torniamo subito al nulla
Oppure (ancora come in altre) si ricordano le qualità del caro estinto.
Alla moglie Antonia. Per amor mio, hai attraversato mari e terre e cieli inclementi; attraverso i nemici trovasti arditamente la via; hai sopportato incredibili rigori del cielo, o dolce sposa, diletta all’anima mia. Simile a un fiore nel nome, felice del nostro legame, casta e pudica, non avevi ancora saziato il fuoco del mio amore, poiché sciasti prima del tempo il talamo consacrato”.
O il semplice dolore.
Nebullo a Marta, sua compagna di schiavitù. Piansi, Marta, i dolorosi casi dei tuoi giorni estremi, e composi le tue ossa: Accetta questa prova del mio amore.
O un elogio alla medicina del tempo
Sono morto grazie all’aiuto di molti dottori
Si possono leggere pensieri straziati dalla perdita di giovani figli:
La madre addolorata fece questo monumento al figlio, di cui mai dovette dolersi, tranne che della sua morte.
Come non piangere una bimba così soave. Meglio se non fossi mai nata se tu, che eri tanto cara, sin dalla nascita eri destinata a tornare presto là da dove eri venuta a noi ed essere ai tuoi motivo di lutto.
Il dittatore Silla escogitò un’epigrafe che è il ritratto del suo carattere:
Non c’è amico che mi abbia fatto un favore, né nemico un torto, che io non abbia ripagato in pieno.
Altri manifestarono una spiccata forza di volontà che nulla poté contro la morte.
Sono qui contro la mia volontà
Consigli.
Non donare alla stele profumi e corone: è una pietra. Non accendere il fuoco: è una spesa inutile. Se avevi qualcosa da darmi, dovevi farlo quando vivevo, e facendo libagioni sulla cenere fai del fango e il morto non beve. Io stesso sarò così. E tu gettando terra sulla carne devi dire:“Ciò che ero quando non ero, ora lo sono diventato”
Non piangete… vi ho solo preceduti
L’augurio più noto che dal paganesimo passò anche al cristianesimo
Ti sia la terra lieve
Qua è Cornelio Basso che ti parla dalla sua lapide:
Fino a diciotto anni, vissi come meglio potei, caro al padre, a tutti gli amici. Ti esorto a divertirti, a scherzare: qui regna solo estremo rigore
Ed altri salutano i propri cari estinti.
Addio Settimia, ti sia leggera la terra. Chiunque abbia posto su questo tumulo una lucerna accesa, che le sue ceneri possano esser protette da una terra meravigliosa
Ti chiamano
Non passare oltre all’epigramma, ma fermati. Ascolta e vai via solo dopo aver appreso. Non c’è nave nell’ Ade, né il nocchiero Caronte, né Eaco con le sue chiavi, né il cane Cerbero. Noi tutti che quaggiù siamo morti non siamo diventati che ossa e cenere e null’altro. Ti ho detto la verità. Vai o viandante, poiché da morto non ti sembri troppo chiacchierone.
Viandante, viandante: quel che tu sei, io fui; quel ch’io sono, domani sarai.
E’ stato un abile oratore, qui giace in silenzio
Tu che leggerai, cerca di vivere e di star bene, di amare e essere riamato fino a che verrà il tuo ultimo giorno.
Tanto che ci siamo, come vera espressione del mondo romano possiamo prendere anche la fantasiosa epigrafe di Trimalcione, il liberto arricchito, noto personaggio del Satyricon di Petronio. Da gran poeta arricchito quale egli era, messa “faticosamente” da parte l’umiltà, scrisse egli stesso la propria epigrafe da incidere sul suo monumento funebre, progettato con grande sfarzo:
Gaio Pompeo Trimalcione Mecenatiano qui giace. Gli fu decretato il sevirato durante la sua assenza. Poteva essere in tutte le decurie di Roma, ma non ha voluto. Pio, forte, fedele, venne sù dal nulla, lasciò trenta milioni di sesterzi e non ascoltò mai un filosofo.
Ma l’ “umiltà” e la “raffinatezza” di trimalcione non finisce di ecrto qua. Trimalcione vuole essere sicuro che questa sua epigrafe venga letta, dai passanti, così fa porre sul suo monumento funebre un orologio. Il motivo?“in modo che chiunque guardi l’ora debba leggere anche il mio nome, voglia o non voglia”. Annuncia tutto ciò durante una delle tante sontuose cene offerte ai suoi “amici”, poveracci, parassiti e filosofi squattrinati come si conviene a filosofi. Deve costruire un monumento funebre maestoso perché come “giustamente” afferma: “è proprio un’assurdità averci da vivi le case eleganti, e non curarsene invece proprio quando ci dobbiamo abitare più a lungo”. Un milionario di sesterzi (un miliardario del giorno d’oggi) deve tenerlo in considerazione. Ma non basta costruirlo, ci vuole cura: ”Starò attento che da morto non riceva qualche affronto. Con disposizione testamentaria metterò un liberto a guardia fissa della mia tomba, perché sul mio sepolcro la gente non venga a cacarci sopra.” Come abbiamo visto però nelle precedenti epigrafi, simili espressioni erano tutt’altro che esclusivamente letterarie e fantasiose.
Chiudo con una lapide magnificamente pragmatica. Che non lascia indifferente. Perlomeno a me. Una lapide romana che è stata ritrovata fuori dall’Italia. Non una rarità. Lapidi funerarie romane si trovano sparse in tanti luoghi tra l’Europa, il nord Africa, l’Asia minore ed il Levante. Questa è la lapide dal Portogallo di una madre che commemora il marito e due figli. Si tratta della lapide funeraria di Quinto Giulio Massimo e dei suoi figli ritrovata in Portogallo nella “parrocchia” di Nossa Senhora da Tourega e datata tra il 201 e il 240 d.c. Qua proprio dove si trova la villa romana di Tourega nel distretto di Évora della regione Alentejo del Portogallo.
L’esatta trascrizione è la seguente:
D(is) M(anibus) s(acrum) // Q(uinto) Iu(lio) Maximo c(larissimo) v(iro) / quaestori prov(inciae) Sici/liae trib(uno) pleb(is) leg(ati) / prov(inciae) Narbonens(is) / Galliae praet(ori) desi(gnato) / ann(orum) XLV / Calpurnia Sabi/na marito optimo // Q(uinto) Iul(io) Claro c(larissimo) i(uveni) IIIIviro / viarum curandarum / ann(orum) XXI / Q(uinto) Iul(io) Nepotiano c(larissimo) i(uveni) / IIIIviro viarum curan/drum ann(orum) XX / Calp(urnia) Sabina filiis.
(CIL II 112) = IRCPacen 382 = AE 1967, 130
Che in tarduzione significa:
“ Consacrato agli dei Mani, Quinto Iulio Massimo uomo eccellente, questore della provincia di Sicilia, tribuno del popolo, nominato pretore della provincia Gallia Narbonense, 45 anni, Calpurnia Sabina (dedica) al marito ottimo“
” A Quinto Iulio Claro, giovane eccellente, addetto alle strade, 21 anni. A Quinto Iulio Nepotiano, giovane eccellente, addetto alle strade, 20 anni, Calpurnia Sabina ai figli.“
Mai dedica fu più magnificamente pragmatica di questa. Una madre che dedica a figli e marito.
BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA molte di queste epigrafi funerarie sono state tratte da Iscrizioni Funerarie Latine, di Lidia Storoini Mazzolani. e da siti internet: http://www.umbrialeft.it/opinioni/iscrizioni-funerarie-romane-spiragli-vita-quotidiana ; https://estudogeral.sib.uc.pt/handle/10316/578; ma vedere soprattutto il Corpus Inscriptionum Latinarum ; per una presa di visione generale (anche se senza molti dettagli) vedere la bella raccolta proposta in: https://www.romanoimpero.com/2018/07/epitaffi-romani.html ; Alison E. Cooley – “History and Inscriptions, Rome” – in The Oxford History of Historical Writing – eds. A. Feldherr & G. Hardy – Oxford University Press – Oxford – 2011; ovviamente la fonte principale: Corpus Inscriptionum Latinarum il cui sito è: https://cil.bbaw.de/
Leonardo Massi (Giugno-Agosto 2020)